Queste pagine ospiteranno racconti di prodotti e produttori si è detto, di tradizioni, tecniche e territori. Mi concedo allora la licenza poetica di partire dal mio territorio di origine.

Grazie a recenti letture, una delle quali su un menù… :-), sono venuta a conoscenza di due interessanti realtà del settore della birra attive nella mia area geografica di provenienza (il basso bellunese): un birrificio artigianale e una persona di cui scriverò in un post successivo.

Giorni fa gli sono capitata tra capo e collo. “Sto prima”- mi sono detta. “Se chiamo e chiedo del responsabile marketing finisce che non capiscono bene né chi sono né cosa voglio e salta tutto”. Arrivo, spiego loro le mie “cattivissime” intenzioni e nonostante questo sono gentilissimi. Sto parlando di Marco Cecchet e Nicola Gabrielli di Arte Birraia www.artebirraia.it

Se non che arrivo tardi, perché da non molto, a Rasai (BL), Marco e Nicola hanno “solo” il loro deposito fiscale. Gran parte della produzione è stata spostata a Ospitaletto (TN). Ma di cose da imparare ce ne sono comunque tante!

Nicola lascia Marco a lavorare 🙂 e mi fa da Cicerone. Anche se non ho ancora ben capito cosa abbia fatto ‘sto Cicerone per essere citato tutt’oggi in questi frangenti. 🙂 Ad ogni modo Nicola mi racconta che hanno iniziato nel ’98 con un brewpub a Belluno. Alzi la mano chi sa cosa vuol dire brewpub! Me lo spiega Nicola: “birreria che al suo interno ospita anche la produzione di birra”. Per lo meno di una certa quota della birra che viene servita in tale birreria.

Nel 2000, Marco e Nicola, da Feltre (dove avevano una seconda sede) e Belluno, si spostano a Seren (BL). Fino al 2005 restano nello stesso capannone, poi si spostano definitivamente in quello attuale.

Chiedo a Nicola come viene prodotta la birra. “Ognuno ha il suo metodo di lavoro”- dice. Leggendo vi sarà più chiaro quante siano le variabili e dunque quanti “metodi” diversi ci possano essere.

Chiedo a Nicola come si diventa birrai. Mi dice che non esistono vere e proprie scuole, solo corsi più o meno professionali e che si impara principalmente per affiancamento. Nel loro caso, ad esempio, sono tuttora- talvolta- affiancati da Germano Perera. “Un’Istituzione del settore. Un Birraio a 360°”- dice Nicola. Gli chiedo cosa vuol dire. “Che fa tutto, da ordinare la materia prima a consegnare le bottiglie confezionate. Oggi i più si limitano a seguire solo poche fasi del processo”.

I primi birrifici artigianali italiani si sono visti dal ’96. Nicola e Marco sono partiti nel ’98, sono stati tra i primi. Oggi ospitano persone che vogliono capire come si fa e, insieme a un’azienda leader del settore, li aiutano ad avviare nuovi impianti, dalla fase costruttiva a quella di collaudo.

In Italia hanno affiancato circa trenta realtà, all’estero una decina. Per costruire un impianto ci vogliono circa quattro mesi, per il collaudo circa un mese. Nella pratica funziona che chi è interessato ad avviare un nuovo impianto va da Marco e Nicola per una settimana, poi tutti assieme lavorano con il costruttore per costruire gli impianti più adatti a ottenere un certo prodotto finito, infine Arte Birraia si reca nel luogo in cui il nuovo birrificio è stato creato per aiutare i nuovi imprenditori a partire.

A questo punto chiedo a Nicola di parlarmi delle loro birre. Mi dice che producono due linee differenti. La prima si chiama “Mazarol”, con birre di puro malto d’orzo; la seconda “Birre del Territorio”, con birre che si ottengono da una percentuale di malto d’orzo e una percentuale di altri prodotti tipici del territorio. Per la tradizione il “Mazarol” è un folletto dispettoso vestito di rosso che lascia impronte nel bosco. Chi le calpesta si perde seguendone le tracce.

Detto questo torniamo alle birre: la “Borlotto” con una percentuale del 10% di fagioli borlotti di area pedemontana, la “Sponcio” con un 20% di mais (“sponcio” in dialetto vuol dire “punta”, quella di un particolare tipo di mais il cui chicco è – per l’appunto- “appuntito”), la “San Martino” con un 10% di castagna (“Questa è zona di castagne”- spiega Nicola) e infine la “Bollicine” con un 10% di vino frizzante di area geografica limitrofa.

Accanto alle produzioni di cui sopra, a rotazione, vengono prodotte altre birre tra le quali una al miele di castagno (“Ambrosia”) e una al cacao (bacche macinate che vengono aggiunte in fase di “ammostamento”). Vediamo subito cosa significa questo termine.

“L’ammostamento è una delle prime fasi della produzione della birra. In particolare è una fase di cottura per mezzo della quale dal malto si produce il mosto. L’innalzamento della temperatura attiva gli enzimi presenti nei chicchi maltati facendo sì che gli amidi contenuti in essi si trasformino in zuccheri, indispensabili per la successiva fase di fermentazione alcolica.” Scherzo dicendo che sembra che la natura abbia predisposto l’orzo apposta per trarne birra! Nicola ride. “E’ così”- commenta.

E’ forse necessario a questo punto chiarire la differenza tra malto e orzo. Semplice: il malto è orzo germinato essiccato (o tostato che dir si voglia). Si mette l’orzo in acqua, in apposite camere di germinazione, lo si fa germinare, ma non troppo “finché fa le radichette”. “Infatti aprendo il chicco trovi il but”- spiega Nicola. Nel nostro dialetto il but è il germoglio a uno stadio iniziale. A questo punto si stoppa tutto con una bella tostatura. Il malto col but viene anche chiamato malto verde che, a sèguito di un processo di essiccazione/tostatura seguito da uno di degerminazione (eliminazione delle radichette), viene trasformato in malto finito.

Un’ulteriore precisazione. Nelle camere di germinazione l’orzo rimane 4-5 giorni. Perché non di più e non di meno? Perché se non lo faccio germinare non si attiverebbero alcuni enzimi fondamentali per la produzione della birra. Per contro, se non stoppo la germinazione in tempo utile, mi ritrovo con tante belle piantine inutilizzabili. Ma non è una questione di piantine. Il segreto sta nel chicco. Per formarsi la piantina consuma gli amidi contenuti nel chicco, che servono invece per essere trasformati in zuccheri. Quanto più grande è la piantina che germoglia dal rispettivo chicco, tanto inferiore sarà la quantità di amido contenuta nel chicco stesso. Insomma devo impedire che lo sviluppo della piantina consumi troppo amido. Il giusto equilibrio tra avvio della germinazione, alias attivazione di determinati enzimi, e il mantenimento di una quantità adeguata di amidi necessari a essere convertiti in zuccheri, si raggiunge- per l’appunto- attorno ai 4-5 giorni di germinazione.

Vediamo ora, in sintesi, le fasi di produzione della birra:

  1. maltazione: orzo trasformato nel rispettivo malto (si usa lo stesso termine anche per altri cereali soggetti a germinazione e dunque potenzialmente idonei a seguire lo stesso iter). Questa fase si suddivide a sua volta in più fasi: macerazione dell’orzo in acqua finché “fa la radichetta” (alias germinazione), essiccazione, per bloccare un eccessivo sviluppo del germoglio, e infine degerminazione (eliminazione della radichetta);
  2. macinazione: chicchi di malto d’orzo (o altri cereali) macinati per ottenerne dei grani;
  3. ammostamento (vedi anche spiegazione più sopra): dagli amidi del malto se ne estraggono gli zuccheri, indispensabili per la successiva fase di fermentazione alcolica. E’ in questa fase che Marco e Nicola aggiungono cacao macinato al malto per produrre la loro birra al cacao;
  4. filtrazione: serve per togliere eventuali scorze prima delle successive fasi di bollitura. Se non si procede alla filtrazione potrebbero rimanere nel mosto sostanze amare. “Più limpido è il mosto, meno difetti si avranno nel prodotto finale”- spiega Nicola;
  5. bollitura e luppolamento: mosto bollito, con l’aggiunta di luppoli aromatizzanti, per concentrare e sterilizzare il mosto, per disattivare eventuali enzimi denaturandoli con l’innalzamento della temperatura, per far coagulare/precipitare la parte proteica, per ottenere certe note aromatiche (es. caramello) e altro ancora;
  6. centrifugazione (detta whirlpool): per eliminare eventuali impurità;
  7. raffreddamento;
  8. ossigenazione: per far fermentare il malto con l’aggiunta di lievito.

Chiedo a Nicola quali siano gli ingredienti base della birra:

  1. acqua: “Quella per gli impianti viene filtrata per evitare la formazione di calcare, mentre quella per la produzione della birra è acqua locale, così com’è e qui abbiamo una buona acqua! I Comuni comunque avvisano quando, a seguito di piogge o altri fenomeni, aggiungono cloro all’acqua per abbatterne la carica batterica. In ogni caso, per tutelarci, teniamo sempre una certa quota d’acqua in stoccaggio”- spiega Nicola;
  2. lieviti: principalmente di due tipi, ad alta e bassa fermentazione. “A bassa sono legati al nostro territorio, con fermentazione sotto i 13 gradi. Ad alta sono quelli delle birre belghe, per intenderci, più strutturate”- continua a edocermi 🙂 Nicola;
  3. luppolo: agevola la separazione della parte proteica del mosto in fase di ebollizione, svolge funzione ammaricante e conferisce note aromatiche alla birra. Marco e Nicola usano principalmente due tipi di luppoli, con diversa percentuale di Acidi Alfa (ammaricanti): Saaz (bassa % di Acidi Alfa) e Perle (% medio alta di A.A.).

Sono proprio troppo curiosa e allora chiedo che mercato abbiano le loro birre: Italia e resto d’Europa, in particolare Inghilterra, con la birra “Bollicine”, ma si apprestano a esportare negli Stati Uniti e si parla già di Australia.

Aggiungo, per chiudere, qualche chicca che mi ha regalato Nicola:

  1. per poter parlare di “birra” si deve avere almeno un 60% di malto d’orzo come prodotto di partenza;
  2. la differenza tra birra artigianale e industriale sta nel peso dell’operatore: in quella industriale quasi tutto è delegato a macchine a controllo numerico e più frequentemente si usano stabilizzanti (per limpidezza e compattezza della schiuma) o antiossidanti;
  3. un metodo per far durare di più la birra è quello di pastorizzarla. Alcuni sono contrari, ma probabilmente è uno dei metodi di conservazione che meno incide sulla qualità del prodotto. Viceversa si deve monitorare tutta la linea del freddo dal produttore al consumatore, e questo, oltre che economicamente dispendioso è anche poco sostenibile sotto il profilo energetico e ambientale.

Se alla fine di questo articolo non vi è venuta voglia di visitare un birrificio, di assaggiare una birra di Marco e Nicola o semplicemente di bervi una birra artigianale mi dimetto.